Tante volte su Designerblog vi abbiamo parlato di cortometraggi d’animazione in stop motion, ma sono rare le occasioni dove poterne sapere di più, magari potendo sbriciare abbondantemente tra i retroscena. Oggi potrete, ma solo a fondo articolo. Ve ne offriamo l’occasione con Zero, quando niente diventa qualcosa. Un progetto nato nel maggio 2007 che, prima indiscrezione, partiva senza che gli stessi autori sapessero bene cosa sarebbe diventato.

Tocca dirlo, ma lo spirito richiama vagamente lo stile di Tim Burton. A dire il vero a dare questa impressione molto è dato dal mero fatto che sia in stop motion, e anche le musiche potrebbero contribuire chiamando in causa Danny Elfman. Tuttavia né l’uno né l’altro sono stati scomodati, e l’originalità del prodotto è dimostrata dagli innumerevoli premi vinti o a cui il corto è stato candidato.

La storia racconta di come si sia tutti diversi, con più o meno possibilità e qualità di partenza, e di come questo poi incida nella vita d’ognuno. Sulle prime il corto richiama un po’ Il villaggio dei dannati, film di fantascienza del 1960 diretto da Wolf Rilla, con tutti bambini eburnei e biondissimi in un villaggio di persone normali. In Zero però il caso umano è solo uno -anzi- solo Zero.

Il protagonista è l’ultimo della scala sociale, contraddistinto con uno zero, mentre gli altri, seppur con numeri bassi si sentono tutti migliori di lui. Ovviamente per tre quarti di cortometraggio c’è una lunga serie di vessazioni e sfortune subite dal protagonista, in cui almeno in una di queste ci si deve riconoscere per forza. Il finale ovviamente punta al riscatto dell’antieroe: il film con un escamotage matematico spiega metaforicamente tutto ciò, anche se i presunti meriti del protagonista mi rimangono dubbi.

Personalmente dal punto di vista narrativo lo trovo piuttosto noioso e banale, con una trama semplicistica e fin troppo lineare: il concetto di fondo che volutamente si è cercato di esprimere in maniera quanto più neutrale possibile è difatti applicabile alla stragrande maggioranza di storie, romanzi o film che siano. Diversità del protagonista rispetto la maggioranza, sfortune fino a ridurlo al baratro, incontro di un elemento o personaggio salvifico, riscatto sociale, morale già percepita a inizio film. Se voleva comunicare un valore, o anche solo un concetto, lo ha fatto in maniera abbondantemente didascalica. Oltretutto gli interventi del narratore esterno sono pleonastici e sottolineano inutilmente la bellezza delle immagini.

Narrazione a parte, dopo essere andato contro fior fior di premi, mi accodo invece a quelli che ne suggellano l’ottima fattura plastica, e quindi più specificamente le connotazioni di quel design tangibile e tridimensionale. A tal proposito il behind the scenes che gentilmente gli autori ci offrono, mostra l’interessantissimo lavoro svolto che è una vera e propria lezione, un compendio del design di un cortometraggio.

Si parte dal concepts, con il progetto vero e proprio fatto di illustrazioni, disegni, appunti; si passa ai prototipi modellati in varie dimensioni e fattezze; dopo ben sei mesi si giunge allo sviluppo dei pupazzi finali realizzati con le giuste resine, e nel frattempo si allestiscono i set fotografici per inquadrature e riprese. Infine, il montaggio.

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ultimo aggiornamento: 22-01-2013