Rem Koolhas, direttore della 14esima edizione della Biennale di architettura di Venezia lo aveva preventivato che l’esposizione del 2014 avrebbe avuto un tema portante ben preciso. Parliamo dei Fundamentals, ossia i fondamenti, la tradizione, le basi di arte e design da cui partire per progettare la modernità.

Ma Fundamentals svolge il ruolo di lessema pregnante e per estensione si coglie un chiaro riferimento all’essenzialità, per cui si sceglie ciò che è fondamentale, lasciando fuori il superfluo, ciò che non è necessario. E sicuramente, ciò che non è mai naturale e necessario è che l’architettura incida negativamente sull’ambiente. Perciò, non stupisce che gli eventi di questa Biennale 2014 abbiano avuto un occhio di riguardo per natura e sostenibilità.

Ne è un esempio il padiglione Canada, che ha trattato il tema dell’adattabilità dell’uomo all’ambiente circostante, attraverso la storia del Nunavut e del popolo Inuit. Un chiaro esempio di come l’innovazione possa mettersi al servizio della cultura e della tradizione senza stravolgerla, ma anzi accompagnandola nella sua naturale evoluzione.

Ma è anche il caso dell’evento collaterale di Yao Jui-Chung, che ha trattato l’importante tema della vita dopo la morte degli edifici abbandonati. Per farlo l’artista ha messo in mostra una carrellata fotografica dedicata ai palazzi ormai in disuso di Taiwan, esempi di storia e fasti passati che attendono solo di essere recuperati e, passateci il termine, “riciclati” nel migliore dei modi.

E siccome non c’è Biennale che non dia alle arti il suo spazio, non stupisce la scelta del padiglione Germania di puntare su un’inaugurazione particolare. A curarla il coreografo William Forsythe, che ha proposto un’emozionante esibizione di chioccolatori, sfondo sonoro perfetto dell’installazione ispirata al Kanzler Bungalow di Bonn, edificio storico immerso nella natura.

In più, a parlare di tradizione e storia ci ha pensato anche il padiglione Israele, che portato alla memoria il progetto urbanistico commissionato da Ben Gurion nel ’48 per la costruzione di una “new town”. Per farlo enormi stampanti ad aghi hanno creato e cancellato in loop il disegno della città sulla sabbia. Allegoria di qualcosa che di fatto non si è mai realizzato.

Ancora storia per il padiglione Marocco, che partecipa con l’installazione “Fundamental(ism)s” dell’architetto Tarik Oualalou. Il visitatore viene immerso nella realtà della medina di Fez, grazie ad un pavimento coperto di sabbia e ad immagini notturne e diurne del cielo del Sahara proiettate sul soffitto.

Suggestivo e onirico è stato poi l’evento collaterale “Mondrian Tea House”, una casa di vetro sospesa sull’acqua creata da Hiroshi Sugimoto. In questo caso il legame con la tradizione nipponica si è tradotto nel mostrare il rituale centenario di preparazione del tè, attraverso la gestualità perfetta e misurata del maestro So’oku Sen. Un vero angolo zen che i visitatori hanno apprezzato molto.

Via | Wisesociety
Foto | Facebook – La biennale di Venezia

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ultimo aggiornamento: 04-07-2014