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VitrA, il brand leader del gruppo industriale turco Eczacıbaşı, attivo nel settore dell’arredo bagno e piastrelle, è lo sponsor del Padiglione Turchia alla 15^ Edizione de La Biennale di Venezia.

All’interno del padiglione, il progetto Darzanà è incentrato sulla violazione delle frontiere e sull’ibridazione, è una sfida alla tendenza sempre più forte di rinchiudersi entro i confini di religione, lingua, razza, nazionalità, etnia e genere. Il progetto, dunque, evidenzia il patrimonio comune, culturale e architettonico degli arsenali di Istanbul e Venezia attraverso un’ultima nave, Baştarda, nata utilizzando materiali abbandonati nel vecchio arsenale di Istanbul. Il tutto è stato poi trasportato a Venezia ad indicare un nuovo ponte nel Mediterraneo.

Il titolo del progetto, Darzanà, significa “arsenale” ed è un termine ibrido, proprio come la parola turca tersane e l’italiano arsenale. Queste parole derivano, o sono, una forma distorta della stessa radice: la parola araba dara’s-sina’a (luogo di produzione). Derivano entrambe da una lingua comune sviluppatasi tra l’XI e il XIX secolo nel bacino Mediterraneo, diffusa da marinai, viaggiatori, mercanti e guerrieri. Nota come Lingua Franca, era condivisa ai tempi in cui il Mediterraneo univa le culture dei paesi che si affacciavano su di esso. Nello stesso senso è possibile parlare di un linguaggio architettonico comune, che potremmo definire Architectura Franca.

Nonostante le differenze di identità e popolazioni che le caratterizzano oggi, in passato tanto Venezia quanto Istanbul vantavano arsenali importanti, simili per dimensione e produzione. Il cuore comune di questi arsenali erano i cantieri, chiamati “volti” in italiano e “göz” in turco. Il cantiere è una costruzione tipica di un patrimonio architettonico comune; le sue dimensioni dipendono dalle dimensioni dell’imbarcazione da realizzare e dalle tecniche costruttive comuni. Darzanà lega un cantiere di Istanbul con un “volto” di Venezia grazie ad una nave. Per il progetto Darzanà all’inizio di quest’anno è stata realizzata un’ultima nave, la Baştarda, presso un cantiere abbandonato nell’arsenale di Haliç a Istanbul.

Analogamente a Darzanà, anche Baştarda è una parola ibrida. Derivata da bastardo, Baştarda è un incrocio tra una galera e un galeone, a remi e a vela. Simbolo dell’ibridazione mediterranea, Baştarda crea un ponte tra i due arsenali, uno in stato di abbandono nella megalopoli di Istanbul, l’altro, invece, riportato in vita in determinati periodi dell’anno, in quella città-museo che è Venezia. A Istanbul, Baştarda è stata costruita sotto la riproduzione delle capriate in legno delle Sale d’Armi dell’Arsenale di Venezia, che ospita il Padiglione della Turchia.

La nave, lunga 30 metri per un peso di quattro tonnellate, è composta di oltre 500 pezzi e sette chilometri di cavi di acciaio; sono stati utilizzati i materiali abbandonati e reperiti in arsenale, incluse stampi di legno, mobili scartati, insegne e parti di imbarcazioni. Tutti i componenti sono stati spediti nel mese di aprile alle Sale d’Armi, dove Baştarda è stata ricostruita a maggio per il Padiglione della Turchia. A novembre 2016, con la chiusura della Biennale, Baştarda continuerà il suo viaggio per diventare il pezzo principale del museo dell’arsenale di Istanbul, quando questo sito sarà aperto al pubblico.

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ultimo aggiornamento: 14-06-2016