[blogo-gallery id=”184792″ layout=”photostory”]

Alla XXI Esposizione Internazionale della Triennale di Milano abbiamo visitato in anteprima Stanze. Altre filosofie dell’abitare che si focalizza sull’architettura degli interni come luogo privilegiato di indagine, studio e riflessione sugli aspetti più propriamente legati alla vita quotidiana delle persone.

L’architettura degli interni ha questo compito realmente speciale: pensare e definire gli spazi e gli ambienti, con le forme, i colori i colori, i dettagli che ospiteranno, accoglieranno, sfioreranno i corpi di quelle persone, registrando umori, passioni e prendendosi cura di quelle diverse umanità.

La mostra a cura di Beppe Finessi, dopo una breve premessa storica, che ha lo scopo di introdurre l’argomento e di collocarlo storicamente attraverso il racconto delle opere dei grandi maestri di ieri che hanno praticato l’architettura degli interni, verranno esposte le opere degli autori che in anni più recenti hanno mostrato il proprio talento e la propria visione del mondo attraverso l’architettura degli interni. Si entra poi in una sequenza di ambienti ognuno progettato da un autore diverso.

Andrea Anastasio con Risonanze
La progettazione della stanza nasce dalla riflessione sullo spazio dell’abitare come luogo della coesistenza quotidiana delle molteplici potenzialità relazionali dell’essere umano. In particolare, sulla possibilità di affermare o di negare la dimensione dell’ascolto di sè, dell’altro e del mondo. Il progetto intende dare forma a un
insieme di polarità, che sono state individuate nella riflessione sullo spazio domestico. Interno-esterno;
microcosmo-macrocosmo; isolamento-relazione; chiuso-aperto; dialogo-indifferenza. Dopo aver individuato gli
elementi di arredo essenziali allo svolgimento della vita quotidiana – tavolo-letto-contenitore – questi sono stati disposti nello spazio della stanza in modo tale da poter tracciare due assi, quasi a suggerire l’intersezione di due stanze e sono stati fatti attraversare da una tenda semi-trasparente che li taglia a metà. La scissione dei mobili, pur alterandoli in modo sostanziale, non ne preclude la funzionalità, acuendone gli aspetti simbolico-narrativi.

Manolo De Giorgi– Circolare, circolare
Stanza è stare, ma siamo sicuri di tutto questo stare? Siamo sempre convinti che questo stare debba rappresentare da protagonista, e prima di ogni altra dimensione, l’abitare? O non è forse più realistica una nuova possibile miscela che mescoli assieme stare+utilizzare servizi+muoversi, il tutto in proporzioni pressoché identiche? Ho cercato di pensare a un abitare guidato dagli spazi di movimento, strisce di 80 cm che si accostano l’una con l’altra fino a formare un ambiente dettato da operazioni in corso. Una sommatoria di corridoi che dovrebbero produrre uno spazio fluido-continuo senza la rigida giustapposizione delle stanze formato-tessera. Ho pensato a quanto di meglio offre il corridoio: quell’indeterminatezza in cui le funzioni vengono velocizzate, contaminate fra loro, piccolo luogo di libertà“.

Duilio Forte – Ursus
Il progetto si inserisce all’interno del tema di “paesaggio domestico” declinato secondo i principi del manifesto ArkiZoic, che si ispira alle ere geologiche e in questo vuole rimarcare una continuità temporale con il Fanerozoico, l’eone nel quale si è palesata in modo esplosivo la vita sulla terra. Il progetto è una proposta di abitare contemporaneo, reso possibile dall’accelerazione nella velocità di comunicazione a cui assistiamo oggi. La dimensione del gruppo sociale è determinata dalla possibilità di mantenere connessioni personali. Il linguaggio ha permesso di arrivare a gruppi sociali fino a 150 persone. Oggi questa soglia è stata infranta grazie alla rivoluzione informatica che di fatto non necessita di prossimità come le pratiche sociali dei primati o il linguaggio verbale tradizionale dell’uomo. Questo fatto permetterà alla società di scomporsi e parcellizzarsi. In seguito a una società che si scompone sempre più velocemente vogliamo proporre un modulo minimo di sopravvivenza dal quale immaginare il proprio futuro.

Marta Laudani e Marco Romanelli – L’assenza della presenza
Nella gestione degli spazi interni il nostro tempo si dibatte in alternative dicotomiche tra mostrare e celare, ovvero tra presenza e assenza, e tra “palestra” e “palcoscenico”. La casa infatti non è solo una machine à habiter, ma anche il teatro della nostra quotidianità. In questa dualità si cela il “nervo scoperto” del progetto del XXI secolo. In ogni epoca gli individui hanno riconosciuto uno specifico “potere di rappresentazione” a oggetti diversi e peculiari. Ecco dunque la necessità, all’atto di affrontare il progetto di un “nuovo modello abitativo”, di analizzare il valore delle “assenze”. Non si tratta più infatti di modificare le “presenze”, in termini di gusto e di cultura, ma di costruire una stanza da vivere come “assenza” (spazio vuoto dedicato ai percorsi e alla contemplazione di opere d’arte). In essa, la “presenza” tornerà, trasformata in un’esperienza da attivare in “solitaria” dentro zone ben circoscritte, destinate alle singole funzioni della vita: dal leggere un libro allo spogliarsi, al mangiare. Un progetto quindi che non solo valorizza in chiave estetica il concetto di vuoto, ma che prende spunto dalle differenti strutture di “famiglia contemporanea”.

Lazzarini Pickering Architetti – La vie en rose
Lastre di vetro dal rosa al rosso Bordeaux definiscono le pareti di una cellula abitativa minima che indaga le
potenzialità tecniche, estetiche ed etiche delle nuove tecnologie del fotovoltaico. Superfici serigrafate con uno
speciale inchiostro fotovoltaico rosa, organico e ibrido producono energia se esposte a sorgenti di luce diretta, indiretta, artificiale innescando un loop virtuoso tra consumo e produzione energetica. Trentatré metri quadri di
interno e dodici di loggia-serra accolgono tutte le funzioni abitative di una coppia che dal contemporaneo guarda al futuro portando con sè elementi di memoria. La loggiaserra, spazio di mediazione tra interno ed esterno, governa la climatizzazione e la produzione energetica e ospita piante e funzioni di vita domestica. Gli arredi si fondono con gli infissi, gli infissi diventano arredi, tutto si trasforma. Le cellule abitative duplicandosi e aggregandosi generano architetture e paesaggi che aspirano a una autosufficienza energetica.

Francesco Librizzi – D1. La scoperta dello spazio domestico
D1 è una stanza che racconta la scoperta dello spazio domestico. In uno spazio ellittico formato da recinti concentrici di esili colonne di metallo colorato, lo spettatore vede delinearsi gradualmente la soglia tra interno ed esterno e comprende il ruolo dell’architettura nella mediazione tra paesaggio, spazio domestico e oggetti. La riflessione prende corpo da un’affascinante esperienza di ospitalità, vissuta in alcuni interni privati di Beirut e mette in scena un modo di abitare senza tempo, radicato nella memoria collettiva di tutto il bacino mediterraneo. Un ambiente vuoto posizionato al centro, che fa da cardine a una serie di spazi satellite che gli orbitano intorno: la casa e la città che tutti possiamo ricordare o immaginare. D1 fa leva sulla fantasia mitica di un momento originario in cui, per la prima volta, un uomo si è fermato perché affascinato dalle qualità di un luogo e ha deciso di rimanervi. In questo senso D1 è la “prima stanza dell’uomo”: il luogo con cui ci siamo identificati e dove ci siamo accorti di non essere più nomadi; quel luogo al centro di tutto dove portiamo ciò che raccogliamo nel nostro cammino e attorno al quale costruiamo la nostra casa.

Alessandro Mendini – Le mie prigioni
Da molto tempo, anzi da sempre, ho la percezione di vivere chiuso dentro a una prigione. Sconto l’ergastolo per il reato di “ornamento”. Mi trovo in una stanza introversa, un perimetro bloccato, uno spazio mentale invalicabile. Piccolo e anche enorme, comunque tutto chiuso. Le mie idee, il mio stile, il mio clima, il mio miraggio: tutto è lì dentro. È la cella di isolamento di un Alcatraz romantico e privilegiato. Imprigionato nell’incubo, nella tortura, nella allucinazione, nella voragine della decorazione. Sembra la metodica autocostruzione dei muri e delle superfici destinate a escludermi dalla libertà. Penso spesso al laminato ABET. È il primo materiale con il quale ho fatto l’amore. Freddo, piatto, high-tech, geometrico, amorfo eppure erotico, disposto a tutto, a perdere e a farmi perdere la purezza. Le mie grafie, i miei desideri lo hanno lisciato, pitturato, accarezzato, illuminato, lucidato, vellutato. Tanto mi ha sedotto il laminato, da porsi come origine di quella ossessione decorativa di infiniti segni, stilemi e colori che mi ha avvolto dentro al bozzolo sempre più denso dei miei peccati, del mio terribile bisogno di ornamento. E se cerco il più vero e lontano inizio del mio ergastolo progettuale, delle mie prigioni, lo trovo nel vuoto dei grafiti fatti a mano o al computer, sopra la superficialità delle superfici, non nel profondo degli spazi e delle forme.

Fabio Novembre – INTRO
“A pensarci bene, un uovo è come un utero solidificato, e l’apparente grande differenza tra ovipari e vivipari si risolve in una questione di consistenza della membrana esterna. Se poi provassimo a cercare nelle più remote memorie amniotiche, sarebbe facile dimostrare che la nostra prima percezione dello spazio l’abbiamo avuta galleggiando nel cavo caldo di una forma ovoidale e che ogni idea di domesticità è volta a ricreare quella condizione. Però, al contrario della sacca uterina, l’uovo conserva una dignità formale ed estetica anche dopo aver assolto alla sua funzione. Forse per questo la sua forma ha sempre affascinato il genere umano, e tutta la sua vitale potenzialità è sempre stata associata a un’idea di perfezione. L’arte ne ha celebrato l’iconicità, e l’architettura – specialmente quando ha provato a prefigurare il futuro – ha trovato nella forma ovoidale la perfetta sintesi formale. Ho voluto immaginare una camera da letto, realizzata in pelle con finiture di alta selleria all’interno di un guscio d’uovo cromato. La forma ovoidale e il suo potere specchiante sono elementi di richiamo, poi il colore e il calore della pelle inghiottono letteralmente il visitatore che si ritrova dentro se stesso, osservandosi dall’interno. Non dimentichiamoci che il sonno è quella soglia spazio-temporale che ogni notte ci riporta all’originaria immersione amniotica, ma che ogni giorno ci obbliga a rinascere, più umani e più coscienti che mai.”

Carlo Ratti Associati – Pin Room
Pin Room è un ambiente personalizzabile dove lavorare, giocare, parlare, dormire. Un modulo responsivo che può trasformarsi in base alle necessità dell’utente diventando un ufficio, una lounge, un letto, un salotto ordinato, un piccolo auditorium, un paesaggio domestico. Il punto di partenza è una superficie piana, composta da soffici pin, capaci di sollevarsi di fronte a un semplice movimento della mano e di riconfigurare lo spazio in un numero potenzialmente infinito di combinazioni. I suoi singoli elementi – pixel divenuti materia – ci permettono di manipolare, letteralmente, l’universo fisico e di trasformarlo, di volta in volta, nel migliore dei mondi tangibili.

Umberto Riva – L’ipotesi di una via di fuga
Il tema consiste nella realizzazione di un luogo in cui isolarsi. Il mio pensiero è andato subito al Cabanon che Le Corbusier progettò in una pineta della Costa Azzurra e in cui visse nei mesi estivi durante l’ultima parte della sua vita. Il progetto consiste in una stanza di ridotte dimensioni (13 mq) completamente autosufficiente, in cui gli spazi e le funzioni sono ridotte all’indispensabile. Uno studio sull’Existenz Minimum in cui il rapporto tra la persona e lo spazio interno è l’aspetto più importante e delicato. Una stanza dal rigore monacale nella quale la luce, i materiali e il disegno degli arredi giocano il ruolo più importante.

Elisabetta Terragni – In prospettiva
La percezione dello spazio è diversa, non di tanto, ma abbastanza per farci pensare. Occupando gli spazi di risulta tra le pareti interne ed esterne, margini e gap si aprono e chiudono in un gioco prospettico che muta di continuo grazie alla luce e al movimento dell’osservatore. Un’immagine eterea si frammenta sulle pareti e ritorna intera da un solo punto di vista che il visitatore deve cercare spostandosi. Due individui la occupano, sono vicini ma possono anche non vedersi, quasi mancarsi, ma possono comunicare e sentirsi.

credit image for Blogo by Caterina Di Iorgi

Riproduzione riservata © 2024 - PB

ultimo aggiornamento: 01-04-2016